La beatitudine non è edonismo.
Non dobbiamo confondere la beatitudine. Nel mondo pagano, greco e orientale, si parlava di beatitudine. Beati erano gli dei, che identificavano la beatitudine con la soddisfazione di tutte le potenze di piacere dell’uomo. I beati dell’Olimpo sono una schiera di profittatori. Cercano la beatitudine ripetendo e ingrandendo le birbonate degli uomini.
Le cose stanno così proprio perché si crea Dio a propria immagine e somiglianza . E’ l’uomo che crea Dio e non viceversa. E’ l’uomo che costruisce le divinità con infiniti difetti. Ma ciò che poteva essere comprensibile nell’antichità, non lo è più oggi. Eppure è ancora vivo questo tipo di beatitudine. Il fatto stesso che siamo creature di carne ci rende inclini a cercare istintivamente la beatitudine nelle cose che si vedono e che si toccano piuttosto che nello spirito, nelle cose del mondo piuttosto che in Dio. E così il termine “piacere” viene assunto come sinonimo di beatitudine. Questo è l’edonismo. Oggi è diventato filosofia, è diventato un sistema di vita, che si traduce in parole banali ma molto espressive: godersi la vita. Stiamo vivendo un tipo di civiltà, un tipo di cultura, nel quale godersi la vita è diventato un ideale. Ed è una alterazione, una profanazione del concetto di beatitudine, come bisogno di infinito, così legato alla più intima esperienza dell’uomo e così legato alla rivelazione. Se da una parte l’uomo oggi è dominato dal pessimismo, dalla disperazione, dalla depressione dal non sapere perché vivere, ecco che a quest’uomo viene offerta una beatitudine terribilmente riduttiva che è quella di godersi l’esistenza. L’uomo d’oggi è tradito nel suo essere profondo; è decisamente ingannato. E’ appiattito, rovinato.
(Beatitudine come vocazione – V)